04 Lug Cucina levantina a Milano: 21WOL Bistrot
Continuo con il mio mini tour gastronomico milanese (le altre tappe sono qui) per raccontarvi di un posto dove mangiare cucina levantina a Milano: oggi vi presento il bistrot di 21WOL, che è un luogo poliedrico con cui ho il piacere di collaborare da qualche tempo [questo post, infatti, è scritto in collaborazione con loro]. Hotel, coworking – in cui potrete trovarmi ogni tanto a lavorare – spazio eventi e anche ristorante easy e informale, dove trascorrere una piacevole pausa pranzo tra colleghi ma soprattutto una serata alla scoperta dei sapori della cucina levantina. Di cosa si tratta? Di una cucina che mescola sapori e culture di tutto il medioriente, e non solo.
Per conoscerla meglio, e per scoprire il menu di 21WOL, ho fatto una chiacchierata con Roy Sigora, chef e colonna portante della cucina del Bistrot.
Ciao Roy, ti va di raccontarmi chi sei e come sei diventato chef di 21WOL Bistrot?
Mi chiamo Roy e innanzitutto non voglio essere chiamato chef, perché anche con i ragazzi in cucina mi piace mantenere un clima informale. Sono in Italia, a Milano, da 4 anni. Mi sono trasferito qui per mia moglie, che ho conosciuto durante il cammino di Santiago (abbiamo anche un bambino che si chiama proprio… Santiago!).
Sono nato a Gerusalemme ma mi sono trasferito a Tel Aviv, una città vivace e internazionale, da piccolissimo. Mi è sempre piaciuta la cucina, che ho iniziato a frequentare professionalmente da quando avevo 16 anni (ho iniziato come lavapiatti). Dopo il militare, che per noi è obbligatorio, ho capito che il mio sogno era proprio cucinare: volevo diventare un cuoco. Ho lavorato un po’ nella mia città e ho fatto qualche esperienza negli Stati Uniti. Dopo ho studiato cucina in Australia, a Melbourne. Nel 2014 ho conosciuto e seguito un grande chef, Ran Shmueli, nel suo ristorante Claro, a Tel Aviv, e ho lavorato per lui 5 anni, incluso un periodo in Congo.
Poi sono arrivato qua da quando è nato l’albergo, nel febbraio 2020.
Come definiresti in una parola la cucina del bistrot?
Un ponte tra Italia e Israele. Cerchiamo sempre di creare commistioni interessanti e inedite (ad esempio un anno fa abbiamo fatto un cannolo siciliano, ma di pasta kataifi e ripieno di labneh e miele). Cerco sempre di “italianizzare” qualcosa, così come in Israele siamo abituati a fare per creare piatti adatti a chi, per motivi etici o religiosi, non mangia determinati ingredienti. L’idea alla base è quella di sorprendere con accostamenti e sapori nuovi.
La cucina del bistrot è definita come levantina: per chi non la conosce, spiegheresti di cosa si tratta?
È un po’ difficile dare una definizione precisa: per me è casa, innanzitutto.
In secondo luogo vorrei sottolineare che non è una cucina così speziata come molti pensano o temono. In realtà è una cucina dai sapori molto delicati, e adesso riscuote molto interesse anche perché è una cucina salutare.
Ci sono poi degli ingredienti che sicuramente la caratterizzano. Per esempio i ceci, che per noi sono proprio la base di molti piatti, con cui facciamo tantissime ricette; la tahina, ovvero crema di sesamo; la salsa amba, a base di mango acerbo fermentato, che usiamo in piccole quantità; i datteri, perché quelli del Mar Morto sono tra i migliori al mondo e noi li usiamo anche sotto forma di sciroppo per dolcificare e creare marinature. Anche lo yogurt è molto presente, perché è una base che pulisce i sapori. Usiamo anche molto i limoni confit.
Israele è un misto di persone che arrivano da tutto il mondo, ognuna con la sua cultura e la sua cucina: quindi la cucina levantina è naturalmente fusion. Anche nei piatti si mescolano diversi elementi, provenienti da diverse culture, contaminati dal gusto delle persone.
Raccontaci qualcosa in più sulla cucina e sul menu.
Il nuovo menu stagionale estivo è, come sempre, un incontro con la cucina italiana. Questa cucina mancava a Milano. Si parte con delle mezzeh classiche, come hummus, falafel e babaganoush, vista la stagione.
Ho poi inserito alcune mezzeh speciali, come la frittura araba – calamari e gamberi in pastella, con sommacco e salsa za’atar, dove il twist è dato dalle spezie. La Jerusalem Tartare, che in originale si chiama kube niyah (kube è una polpetta e niya vuol dire crudo), si ispira alla parte araba di Israele, dove viene fatta con un misto di carne, bulgur, spezie e erbe. Il nome Jerusalem richiama le due parti, araba e israeliana.
Proseguendo troviamo i piatti principali: i ravioli shish burak, per esempio, anche questi spezie e yogurt tiepido. È un piatto tradizionale, l’abbiamo chiamato raviolo perché di fatto lo è! E ancora, il burek: tipico ci tutta la zona levantina e dei balcani, un piatto tipico dei funerali o da regalare ai neogenitori. Qui abbiamo optato per una versione più greca, e sempre dall’area della Grecia e della Turchia arriva la moussaka, insieme a ingredienti italiani come il caciocavallo e ragù di Asado. Completa l’offerta l’insalata fattoush con halloumi fritto.
Nel menu abbiamo previsto anche due piatti unici completi: il freekeh di pollo (in inverno con agnello e 7 spezie) o vegetariano. Nella versione vegetariana invernale ci sono melanzane, uova sode e tahina, che è un po’ la base della cucina irachena. In versione estiva peperoni, zucchine e condimenti un po’ più particolari come lo sciroppo di datteri. Per dare carattere usiamo un mix di spezie levantine, non piccante e non troppo speziato per la clientela italiana, che non va a coprire la verdura.
La stessa marinatura è anche nel Gyros, sia pollo che Planted. Questa attenzione per la cucina vegetariana e vegana viene abbastanza spontanea: in Israele il veganesimo è molto diffuso (si stima che su 9 milione di persone ci siano 1 milione di vegetariani e vegani, per motivi di salute e/o etici). Credo che sia importante dare attenzione a chi è vegano, perché tutti dovremmo iniziare ad abituarci a mangiare in maniera più ecologica.
Dulcis in fundo: quello dei dolci levantini è forse il mondo meno conosciuto. In estate proponiamo il malabi, una sorta di budino a base di latte, farina di riso e zucchero, e il semifreddo di halva, oltre alla panna cotta italiana.
I clienti italiani come hanno accolto questo menu?
Chi viene qui non è per forza già interessato a questo tipo di menu, perché siamo anche un hotel e spesso le persone mangiano qui per comodità. Per questo motivo nel menu ci sono anche dei comfort food italiani.
La soddisfazione più grande me l’ha data un signore che è venuto qui a Milano per motivi di salute. Inizialmente ha chiesto di mangiare gli spaghetti. Il giorno dopo ha guardato il menu e ha scelto la parmigiana. Quello successivo ha cominciato a incuriosirsi e ha chiesto di assaggiare qualcosa di diverso, quindi gli ho portato dei piccoli assaggi di hummus e falafel. Il giorno dopo ha chiesto un piatto di ciascun mezzeh!
Mediamente le persone più giovani sono un po’ più aperte, mentre quelle più anziane hanno gusti più tradizionali. Per cui quando questi clienti scelgono piatti levantini e danno segni di approvazione verso la cucina è una grande gratificazione.
Qual è il tuo piatto preferito tra quelli offerti?
È un piatto fuori menu, la pastilla di pollo (e c’è anche in versione vegetariana). È una pietanza che mescola in modo magistrale sapori dolci e salati. Mi piace presentarlo nel modo giusto, essenziale senza salse. È una semplice torta salata, ma dentro ci sono 2 ripieni: c’è un mondo, è una gioia.